Paci Paciana

“Paci Paciána”

 

Nei registri del tribunale di Zogno Vincenzo Pacchiana, detto “Paci Padana”, è così descritto:

“Statura piuttosto alta. Età d’anni 30 circa. Corporatura ordinaria. Capelli neri con ricci intrecciati alla fronte ed alle orecchie, con coda legata alla francese lunga  tre pollici circa. Scintillini neri, larghi sino al confine delle orecchie. Barba ra, ordinariamente rasa. Occhi brillanti. Mento pieno, colore del volto, olivastri Girovago e bandito. Suole travestirsi in mille guise, ed anco di donna, parla dialetto bergamasco, misto col rozzo veneto, e va munito di due coltelli, pistole schioppo a due canne”. Negli atti di Battesimo risulta essere nato a Poscante nel 1776. Fu ucciso a tradimento i 1806. Era però un bandito, che per le sue imprese, restò vivo nella memoria popolare coi “Passator cortese”, che toglieva ai ricchi per dare ai poveri, ed entrò anche nella schiera d personaggi del teatro dei burattini. Alcuni episodi della vita di “Paci Padana” sono si raccolti da Mosè Torricella1

Una vecchia leggenda vuole che dal Ponte dell’Ambria (e non da quello di Sedrina, come comunemente si pensava) si sia buttato, per sfuggire all’arresto.

La tradizione vuole che il “Paci” passasse un giorno sopra questo ponte, per recarsi ad i appuntamento con la figlia di un oste di Sedrina. Questi però aveva avvisato la guarnigione napoleonica di nascondersi nei pressi del ponte: una volta che il bandito vi si trovasse sopì gli avrebbero chiuso ogni via di fuga. Il ponte si alza altissimo sulla stretta e paurosa gola d fiume. Ad un tratto il “Paci” si trovò irrimediabilmente chiuso tra due squadre di anni che avanzavano dai due capi del ponte stesso.

“Finalmente si prendono anche le volpi vecchie!”, disse il graduato.

“Ma non di questo pelo!”, rispose, pronto e spavaldo, il temerario brembanino: e un salto scavalcò il parapetto, si lanciò nel vuoto, piombando nell’acqua di una buca profonda, tra le strette pareti a picco. Raggiunse la sponda opposta, mentre lo inseguivano le ira schioppettate degli sbirri.

In una sua relazione del 4 giugno 1806 al Ministro e Segretario di Stato Aldini il Diretto

generale della polizia, Diego Guicciardi, così scriveva:

“Contro l’ormai famoso Pacchiana fu inutile ogni tentativo. Ho dovuto far pube care una taglia di cento zecchini a favore di chi lo prende vivo e di sessanta a A lo uccide. Mi son mosso a questo passo, dopo che, attaccato, costui due divem volte seppe fuggire, uccidendo le due guide e lasciando feriti tre gendarmi e  un’altra guida”.

Finalmente la polizia, incapace di prendere il Pacchiana di fronte, lo ebbe con l’insidia. Promise un premio a un certo Carcino (detto “Carciofo”), che si era unito a lui e con lui 1 teva le montagne comasche nei pressi di Gravedona; il 4 agosto 1806, persuaso da premio, con un colpo di trombone, il Carcino uccise il compagno, immerso nel Il Guicciardi ne diede notizia al ministro, con un rapporto del 13 settembre 1806, con il i comunicava anche l’arresto di un certo Cattaneo, che aveva tentato di servirsi del nome p roso del Pacchiana, per estorcere denaro.

Per dimostrare l’uccisione del Pacchiana, il Carcino dovette poi consegnare alla polizia la : testa, che venne portata a Bergamo ed esposta sulla Fara, dove si giustiziavano i delinquenti. Il Paciana ha conquistato immortalità nell’immaginario popolare, divenendo un simboli giustizia sociale. È il potere dell’epica popolare e della narrazione per figura che si da sé, senza bisogno di ulteriori dimostrazioni.

 

(1) Mose Torricella, “Episodi della vita di Paci Paciana… “, Tipograna Litostampa Manighetti & C, Bergamo 1880.

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