La vera storia della spina..

La vera storia della spina..dalle spine alle …bombe

Il nome della famiglia Zignoni di San Giovanni Bian­co è legato da sempre all’impresa di Vistallo, a cui si de­ve l’arrivo in paese della spina che si ritiene appartenu­ta alla corona della passione di Cristo e che è oggetto da cinque secoli di grande venerazione in tutta la Valle Brembana.

Ma Vistallo Zignoni, malgrado il monumento che i suoi concittadini gli hanno eretto nella piazza a lui de­dicata, non fu certo quell’eroe senza macchia che po­trebbe lasciare intendere la natura della sua impresa. Essendo stato bandito da tutto il territorio della re­pubblica veneta a causa di un omicidio commesso in gioventù, si era arruolato come balestriere nell’esercito del marchese di Mantova Francesco Gonzaga. E come soldato prese parte, il 6 luglio 1495 alla bat­taglia di Fornovo  sul Taro combattuta dalle truppe del­le città italiane contro il re di Francia Carlo Vili. Costui l’anno precedente era sceso in Italia col pretesto di ri­stabilire l’autorità francese sul regno di Napoli, ma con la precisa intenzione di imporre la propria egemonia su tutta la penisola.

Dopo l’iniziale inerzia, gli stati italiani avevano fi­nalmente compreso il pericolo rappresentato dalla pre­senza sul suolo italiano di un agguerrito re straniero e avevano dato vita ad un’alleanza per farvi fronte. Da qui il frettoloso allestimento di un esercito che cercò di sbarrare il passo sull’Appennino alle truppe francesi, avviate sulla via del ritorno.

Lo scontro, avvenuto a Fornovo, allo sbocco della Val di Taro, pur favorevole alle truppe italiane, servì solo a rallentare la marcia dei Francesi che poterono rientrare in patria senza troppe difficoltà.

E’ in questa battaglia che incontriamo Vistallo Zignoni, agli ordini del Gonzaga, come capo di un drap­pello di balestrieri. Approfittando della confusione del combattimento, Vistallo e i suoi compari penetrarono nell’accampamento nemico, fecero prigioniero un valletto del re e si impa­dronirono dell’ingente bottino affidato alla sua custo­dia.

L’impresa non fu nemmeno troppo ardua, in quanto i bagagli reali erano già caricati sui muli, dal momento che l’esercito francese era stato attaccato mentre era in pieno assetto di marcia.

Fu così che, portando con sé ben 55 muli carichi di tutto punto e tenendo sequestrato il valletto, Vistallo Zignoni e compagnia, ormai disinteressandosi della bat­taglia, cercarono un luogo sicuro dove godersi il frutto della loro brillante impresa. Quando fu il momento di dividere il bottino, lo Zignoni si trovò per le mani un cofanetto contenente un prezioso reliquiario dove erano allineate tutta una serie di reliquie della passione di Cristo, tra cui un bel pezzo di corona di spine.

Il cofanetto era stato prelevato da Carlo Vili dalla Sainte Chapelle di Parigi, dove era custodito da tempo, convinto che le reliquie in esso contenute lo avrebbero protetto contro i pericoli della spedizione in Italia e gli avrebbero propiziato la vittoria in caso di battaglia.

Consapevole dell’enorme valore di quelle reliquie, Vistallo pensò bene di servirsene per trarne qualche van­taggio e soprattutto per farsi levare il bando che da trop­po tempo gli impediva di avere una vita normale. Procuratosi un salvacondotto, riuscì a recarsi a Vene­zia e a farsi ricevere dal doge Agostino Barbarigo e dai membri del Senato, ai quali consegnò il prezioso cofa­netto. In cambio ottenne una serie di favori: un rimborso spese “una tantum” di 50 ducati, una rendita vitalizia di 10 fiorini al mese, altri 3 fiorini al mese per il padre e ciascuno dei suoi due fratelli, una provvigione di 150 ducati per avviare il figlio primogenito alla carriera ecclesiastica. Il bando per omicidio non gli venne levato, ma solo sospeso per un periodo di… cento anni! I documenti storici non accennano a come sia giunta a San Giovanni Bianco una delle spine contenute nel re­liquiario, ma l’ipotesi più plausibile è che Vistallo, prima di consegnare il cofanetto al doge, abbia staccato una spina dalla corona per farne dono alla sua parrocchia. Da qui la singolare devozione dei sangiovannesi alla loro reliquia, mai affievolitasi nel corso dei secoli. Ma tanti onori e riconoscimenti non giovarono gran che all’avventuriero di San Giovanni Bianco, il quale ne­gli anni seguenti, stabilitosi al suo paese, dovette fare i conti con una serie di contrattempi ed incomprensioni che gli avvelenarono l’esistenza. Gli anni più travagliati furono quelli tra il 1509 e il 1517, quando i Francesi, entrati temporaneamente in possesso del territorio bergamasco, si diedero attiva­mente a ricercarlo per fargli pagare l’affronto subito a Fornovo. E, non riuscendo a catturarlo, lo bandirono dalle terre da loro occupate, costringendolo a cercare scampo a Venezia. Nello stesso periodo gli amministratori di San Gio­vanni Bianco, non brillando certo per riconoscenza, gli confiscarono tutti i beni, al fine di recuperare una serie di tasse che egli si era sempre rifiutato di pagare, ritenen­dole illegittime.

Ne derivò una lunga vertenza giudiziaria che portò lo Zignoni addirittura in carcere per qualche tempo e che solo l’intervento diretto del vescovo di Bergamo, Pietro Lippomani, valse alla fine a comporre. Non meno travagliata fu la sua vita familiare: sposa­to, con sei figli, aveva pure una concubina a Brescia, che gli aveva dato altri due figli. Ad un certo punto, poi, una figlia legittima, di nome Maddalena, era scappata di ca­sa andando a convivere “more uxorio” con un suo com­paesano, rattristando ancora di più l’esistenza dell’or­mai vecchio “eroe” di Fornovo.

Se l’avventuriero Vistallo è il più noto degli Zignoni, ben altro lustro diedero alla famiglia sangiovannese gli esponenti che tra il Quattrocento e il Seicento si specia­lizzarono nell’arte della ferrarezza, acquisendo ricchez­za e prestigio in tutta la Valle Brembana. All’inizio del Seicento gli Zignoni metallurgici, tra cui eccelsero Prospero e il figlio Pompeo, arrivarono a possedere beni di ogni genere sparsi in tutta la valle: ter­reni, fucine, forni, mulini, che costituivano la base di una fortuna immensa. La crisi del settore siderurgico, che colpirà il territorio bergamasco nella seconda metà del Seicento, determi­nerà la lenta ma inesorabile decadenza di questa poten­te famiglia.

Nel frattempo però gli Zignoni avevano legato il loro nome ad un’invenzione che avrebbe poi modificato ra­dicalmente la strategia militare. Francesco Zignoni, figlio di Pompeo, ingegnere mi­litare, nel 1642 inventò niente meno che le bombe di can­none. Prima di quella data i proiettili sparati dai cannoni erano semplici sfere di ferro piene, i cui effetti erano li­mitati alla forza dell’impatto contro il bersaglio.

Francesco Zignoni ideò invece delle palle di ferro vuo­te all’interno, entro le quali veniva inserita della polve­re da sparo, collegata ad un innesco che ne provocava lo scoppio al momento dell’impatto, aumentando così notevolmente l’effetto dirompente del proiettile.

L’idea gli era venuta un paio di anni prima, quando militava nell’esercito spagnolo ed aveva escogitato un sistema per comunicare con gli abitanti della città di To­rino, assediata dai francesi durante la guerra per la reg­genza del Piemonte. A tale scopo, lo Zignoni aveva fatto sparare sulla città delle palle di ferro cave contenenti dei messaggi per gli assediati. Dai messaggi si era passati presto a riforni­menti di ogni genere ed anche alla polvere da sparo, in­serita in palle sempre più grandi. E proprio la polvere da sparo suggerì l’idea di bombe che potessero scoppiare una volta colpito il bersaglio, rendendo questi proiettili ben più micidiali delle tradi­zionali palle piene.

Restava solo da mettere a punto un innesco efficien­te, in grado di attivare lo scoppio. Ma la ricerca di que­sta soluzione risultò fatale allo Zignoni.

Durante una prova dimostrativa della sua invenzio­ne, effettuata nel 1462 a Verona, alla presenza del gene­rale Alvise Zorzi, l’inventore venne infatti investito dal­lo scoppio anticipato di una bomba, rimanendo ucciso sul colpo.

Ma la sua idea si era rivelata buona e venne in segui­to perfezionata e applicata all’arte militare.

 

Tratto da …Storie del Brembo – Tarcisio Bottani – Wanda Taufer- Ferrari Editrice

Leave a reply